TORINO – Una tartaruga che, come nel paradosso di Zenone, potrebbe però arrivare prima del veloce Achille. Un Paese che «vola come un calabrone, sembra che debba cadere da un minuto all’altro», e che piuttosto dovrebbe invece assomigliare a «un’ape che sa come volare e come produrre il miele». L’economista Mario Deaglio usa una metafora dietro l’altra per definire la condizione dell’Italia, presentando ieri al Festival Internazionale dell’Economia di Torino il IV Rapporto sul mondo postglobale del Centro Luigi Einaudi in collaborazione con Intesa Sanpaolo. Rapporto che mette in evidenza come gli Usa stiano dando il colpo di grazia al sistema globale che ha retto negli ultimi trent’anni.
Un quadro da cui emergono molte ombre, dal disavanzo eccessivo che il governo conta di far rientrare «con un percorso di crescita che appare scritto nel libro dei sogni» alle lobby delle spiagge e dei taxi che bloccano le riforme della concorrenza, al lavoro povero che spegne le speranze dei giovani. Ma anche diverse luci, che mostrano «un Paese resiliente e vitale» sottolinea nella prefazione del rapporto il presidente di Intesa Sanpaolo Gian Maria Gros-Pietro, aggiungendo che «il tessuto produttivo italiano, con la sua rete di medie imprese produttive e internazionalizzate e di startup plugin, rappresenta una forza vitale che merita sostegno e fiducia». Le startup plugin sono quelle che producono l’innovazione nei distretti economici più rilevanti, dove predominano le imprese tradizionali, spesso gestite da imprenditori più anziani. Nonostante siano appena 14.700, e solo tre (Scalapay, Satispay e Spoons) siano diventate unicorni, cioè valutate più di un miliardo, svolgono una funzione di grande importanza, oltre all’innovazione: tengono in Italia molti giovani talenti che, a fronte di salari bassi e scarse prospettive, finirebbero all’estero.
Tra gli altri aspetti positivi anche la crescita delle esportazioni delle imprese del Mezzogiorno: tra il 1999 e il 2024 più 24% rispetto alla media nazionale in Campania, più 37% in Sicilia, più 58% in Calabria e più 64% in Sardegna. Migliora inoltre la qualità delle esportazioni, e i porti giocano un ruolo strategico, l’Italia «si conferma leader nello Short Sea Shipping», il trasporto marittimo a corto raggio, oltre a primeggiare sul volume di merci destinate all’import-export. Segnali a cui si aggiungono la spinta che il Pnrr sta imprimendo agli investimenti, nonostante gli evidenti ritardi, difficili da recuperare, e il calo dello spread.
Un Paese che, per dirla con gli autori del rapporto, potrebbe «trasformare questa transizione silenziosa in un volano strutturale, superando la dipendenza da fondi temporanei e accelerando il ricambio generazionale». «Riprogettare il futuro», sintetizza Deaglio. Ma potrebbe anche continuare a «dormire, forse sognare», per usare ancora un’altra metafora. E magari scivolare nel voto anticipato, che la premier Meloni potrebbe preferire alla necessità di affrontare, soprattutto a partire dal 2026, obblighi e sfide poste dall’Europa, dall’adeguamento alla direttiva Bolkestein alla procedura di disavanzo eccessivo alla rinegoziazione finale del Pnrr, quando emergerà chiaramente che i termini del 2026 lasciano indietro risorse e progetti.
Altra incognita, indipendente stavolta dall’Italia, è quella dei dazi, che preoccupa molto le imprese. «Calcoliamo un impatto diretto di 14 miliardi», sottolinea Giorgia Garola, vicepresidente dell’Unione industriali di Torino, aggiungendo che pesano ancora di più «la contrazione del credito, e lo scenario d’incertezza», con le aziende che non riescono più ad avere «visione degli ordinativi oltre i tre mesi».
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