Mancanza di investimenti e talenti: l’Ue arranca nell’innovazione


È ampiamente riconosciuto quanto l‘Europa sia in ritardo nella corsa globale all’IA, in particolare rispetto a Stati Uniti e Cina.

I motivi del ritardo dell’Europa nella corsa all’IA

Questo ritardo è attribuito a diversi fattori, tra cui ricordiamo:

  • bassa propensione ad investire, pur in presenza di una elevata propensione al risparmio;
  • complessità crescenti anche a causa di una produzione di norme europee che dovrebbero semplificare la babele delle norme nazionali ma di fatto si sovrappongono ad esse;
  • una scarsità di ricerca nei settori avanzati, con conseguente scarsità di produzione da parte delle università di adeguate competenze nei settori trainanti.

Perché la propensione al risparmio degli europei non incide sulla competitività e l’innovazione

Per quanto riguarda il risparmio, l’Europa ha una propensione al risparmio molto più alta degli Stati Uniti: la famiglia media europea risparmia una quota di reddito tre volte superiore. Ma detiene questi risparmi in titoli del debito pubblico, a basso rischio, che non contribuiscono all’investimento nei settori innovativi.

Tra il 2015 e il 2021, le famiglie dell’UE detenevano il 32% del loro patrimonio finanziario in contanti e depositi, rispetto ad appena il 13% delle famiglie statunitensi, che hanno investito quasi la metà del loro patrimonio finanziario in azioni e fondi di investimento[1].

Tra le cause di questo diverso esito vi è certamente la frammentazione del mercato finanziario e del mercato dei capitali: in America il grande mercato nazionale ha accesso agli altri grazie alle qualità del dollaro, sia come riserva di valore sia come mezzo di pagamento internazionale. L’euro è una buona valuta, non altrettanto diffusa, ma affidabile, ma è il mercato dei capitali che in Europa non esiste, come mercato unico. Lo lamenta da tempo Mario Draghi che ne ha fatto uno dei capitoli più densi del suo Rapporto sulla Competitività: “abbiamo lasciato il nostro Mercato Unico frammentato per decenni, il che ha un effetto a cascata sulla nostra competitività. Spinge le aziende a forte crescita all’estero, riducendo a sua volta il bacino di progetti da finanziare e ostacolando lo sviluppo dei mercati dei capitali europei.” [2]

Il venture capital, da cui dipendono gli sviluppi delle aziende innovative, è in Europa lontano dagli standard dei paesi più avanzati, come Stati Uniti, Israele, Regno Unito.

L’Europa è dotata l’85% in meno di aziende -unicorno, ossia quelle che crescono a livelli di quotazione di almeno un miliardo di dollari. Nella figura 1 è riportata la ripartizione geografica degli investimenti in venture capital.[3]

Figura 1. L’Europa in fondo alla classifica del venture capital

A causa della debolezza degli investimenti nell’innovazione, ed in particolare nel digitale, l’Europa negli ultimi decenni ha perduto in termini di produttività rispetto agli Stati Uniti. Se alla fine degli anni Novanta i lavoratori europei avevano una produttività oraria pari al 95% dei quella americana, oggi la distanza è aumentata, con l’80% soltanto, a cui si aggiunge un orario di lavoro più breve che riduce ulteriormente la produttività pro-capite.[4]

Le scelte di Trump che rafforzano la leadership tecnologica e tecnico-scientifica alla Cina

Il Rapporto Draghi, ha posto in chiaro i fattori di freno e di arretratezza. L’Europa è in grado di affrontarli, non solo nell’analisi, ma nelle azioni politiche necessarie a contenerli o eliminarli? È in grado non solo di definire un quadro di norme e istituzioni di garanzia della cittadinanza europea, ma anche di riaprire le prospettive di crescita e la sostenibilità degli standard sociali ed economici del continente?

L’ordine mondiale è scosso, ma non perché l’Europa si stia svegliando da suo torpore, ma perché gli Stati Uniti stanno compiendo scelte, per i colpi di mano dell’amministrazione Trump, che consegnano la leadership tecnologica e tecnico-scientifica alla Cina.

Questo risultato era molto probabilmente inevitabile, per il dinamismo e la dimensione dell’economia e della popolazione cinese e per lo straordinario lavoro compiuto nell’ultimo quarto di secolo sul sistema universitario del Paese, ma certamente l’ideologia primitiva dell’America First e gli atti amministrativi che ne conseguono stanno contribuendo ad accelerare ed aggravare questo esito.

“Per decenni, le università di ricerca statunitensi hanno mantenuto la loro leadership globale nell’innovazione in ambito scientifico, tecnologico, ingegneristico e matematico (STEM) grazie a un vantaggio cruciale ma spesso trascurato: la capacità di attrarre e trattenere studenti di dottorato internazionali, in particolare provenienti dalla Repubblica Popolare Cinese. Gli studenti cinesi sono diventati essenziali sia per i programmi di ricerca universitaria che per il più ampio ecosistema dell’innovazione americano. Tuttavia, questo importante canale proveniente dalla Cina si trova ad affrontare sfide senza precedenti.

Dati recenti indicano che l’intenzione dei dottorandi cinesi di rimanere negli Stati Uniti dopo la laurea (ovvero il “tasso di permanenza”) è scesa dal 90% al 76%. Le crescenti tensioni geopolitiche, le potenziali normative e vari altri fattori di pressione potrebbero determinare un’ulteriore diminuzione. Se troppi dottorandi cinesi rimangono o se ne vanno, è improbabile che altri canali di finanziamento studentesco non statunitensi (ad esempio asiatici, indiani, brasiliani, europei, russi) possano colmare il divario.”[5]

Il primato della Cina nelle spese per la ricerca

Aggiustando i dati per la parità di potere d’acquisto, la Cina oggi spende in ricerca quanto gli Stati Uniti. Tra il 2001 e il 2023 il numero di società cinesi comprese in Fortune 500 è salito da 22 a 169, il numero dei miliardari da 1 a 495. Gli unicorni cinesi da 22 a 169[6].

Questi sono gli aspetti più visibili del successo tecnologico ed economico cinese. Esso è maturato per merito di un colossale e strategico investimento in formazione e ricerca, che ha portato il Paese ad eccellere, secondo l’Istituto Australiano di Strategia Politica (ASPI), in quasi tutte le tecnologie chiave del futuro: 57 su 64. Nei due ultimi decenni considerati, gli Stati Uniti sono stati incapaci di mantenere il vantaggio nella ricerca: tra il 2003 e il 2007 guidavano la ricerca in 60 tecnologie su 64. Tra il 2019 e il 2023 mantenevano la leadership soltanto in 7 tecnologie.[7]

Ora la più grande istituzione mondiale di ricerca è la Chinese Academy of Sciences (CAS) che ha oltre 110 Istituti, con leadership in 34 delle 64 tecnologie del futuro. In Cina rimane il ruolo meno rilevante, rispetto al panorama americano, della ricerca privata condotta direttamente dalle aziende. Essa rappresenta ancora oggi una quota ridotta. Un esempio è la tecnologia delle radiofrequenze, dove la Cina è titolare del 30% dell’impatto globale della ricerca, mentre la società Huawei, la più brillante azienda cinese di tecnologie di telecomunicazioni, è solo 58° nella recente rassegna dei contributi aziendali alla ricerca.

A lungo andare il problema che assillerà la società e l’economia cinese è quello demografico, che supera per gravità, anche se sfasato in avanti, quello che già sta limitando la nostra crescita economica e l’equilibrio sociale nel nostro Paese.

La carenza di talenti che minaccia la crescita europea

Mentre la Cina corre, a Washington si intende tagliare il bilancio annuale della National Science Foundation da 9 miliardi di dollari a una cifra compresa tra 3 e 4 miliardi di dollari. Il National Institute of Health (NIH) deve limitare al 15% le spese generali indirette (IDC) delle università. Si consideri che il tasso medio del NIH per le spese generali indirette si aggira intorno al 28%. Nel 2024, il tasso IDC di Harvard era del 69%. Pertanto, mentre Harvard avrebbe normalmente ricevuto 135 milioni di dollari per contribuire a coprire le spese generali, con il nuovo limite, tale importo precipita a soli 31 milioni di dollari; e Harvard è solo una delle centinaia di università statunitensi che ricevono finanziamenti dal NIH.
Negli Stati Uniti, negli ultimi decenni, il ruolo degli studenti di nazionalità cinese è diventato notevolmente importante, rappresentando il 35% del bacino internazionale e il 16% dei circa 36.000 studenti di dottorato STEM, stranieri e nazionali. Nei campi dell’intelligenza artificiale, la quota di studenti cinesi è ancora più significativa, attestandosi al 27%.[8]

Mentre l’America disinveste in formazione e ricerca, i confronti internazionali dimostrano che i test PISA sul livello di preparazione degli studenti, già prima dell’università, vedono gli studenti asiatici eccellere in lettura, matematica e scienze[9].

In Cina il 40% dei laureati proviene dalle facoltà STEM, mentre negli Stati Uniti solo il 20%, per altro composto, come abbiamo visto, largamente di laureati di nazionalità cinese.

L’Europa manifesta un tendenziale peggioramento dei risultati della formazione, in particolare nelle STEM.

Per questo motivo, McKinsey indica l’esistenza di una minaccia di “carenza dei talenti” a livello europeo. Nel 2027 potrebbero mancare tra fino a 3,9 milioni di professionisti tecnologici. Le cause sono da ricondurre nella domanda rapidamente crescente, da un lato, e nel mismatch che porta ad una offerta troppo sbilanciata sulle facoltà umanistiche, anche a causa di una insufficiente presenza femminile in quelle STEM. Nei ruoli tecnici le donne sono solo il 22% degli occupati nelle aziende europee.

Le azioni necessarie per accelerare la mobilità sociale in Europa

Il Report McKinsey sulla mobilità sociale e sul suo ruolo in Europa getta una luce vivida sulle carenze delle politiche nazionali ed anche comunitarie.

Carenze che producono una limitazione critica alle potenzialità di crescita dell’economia (e della società) europea. “Con l’invecchiamento della popolazione e la nuova domanda di competenze delle imprese, la disponibilità di lavoratori qualificati diviene rapidamente insufficienti.” Il Rapporto insiste sulle azioni che devono essere intraprese per accelerare la mobilità sociale in Europa:

  • aumentare la partecipazione femminile;
  • lanciare un programma di riqualificazione per affrontare il cambiamento della domanda di qualifiche tecnologiche;
  • creare condizioni di accesso alla scuola migliori per le fasce marginali riducendo i dropouts;
  • migliorare la mobilità sociale, in particolare restituendo a livello scolastico maggiori opportunità di crescita ai giovani.

La stagnazione della mobilità sociale europea, con particolare riferimento all’ultimo aspetto, quello del ruolo della scuola, è ben rappresentata nelle figura 2.

Figura 2. Come il livello di educazione del genitore (parent) influenza quello del figlio (child) (Europa valori in %)[10]

Il Rapporto stima un impatto positivo di un programma di mobilità sociale per il raggiungimento di questi obiettivi che sfiora il 10% del prodotto interno loro europeo. Naturalmente raggiungibile in un periodo di tempo adeguato, ma proprio per questo da attivare il più rapidamente possibile.

Conclusioni

L’Europa soffre di una paralisi decisionale strategica, dovuta alla situazione politica e ai limiti politico istituzionali della costruzione federale incompiuta.

Eppure è in un momento, come sottolineato dal Rapporto Draghi, nel quale non può permettersi di temporeggiare, di rinviare. Poiché il mondo sta cambiando e sta costringendo tutti i grandi attori mondiali a ridefinire il proprio posizionamento, l’Europa ha anche opportunità aperte, che deve sfruttare.

La figura che segue indica la evoluzione della spesa per ricerca. La Cina sta raggiungendo gli Stati Uniti e si prepara, aiutata dalla politiche trumpiane, a superarla.

Figura 3. Spesa per R&D Usa Cina, Europa, Giappone[11]

L’Europa ha un profilo ancora troppo basso. In questo frangente deve farsi carico di affrontare le sfide della nuova globalizzazione, a partire da quelle tecnologiche sospinte dalla rivoluzione dell’intelligenza artificiale. Deve affrontarle ridefinendo la strategia delle alleanze internazionali: l’impegno della Commissione è stato insufficiente, anche su questo fronte. Naturalmente la stasi decisionale e strategica, il rischio concreto di andare in pezzi, di cui l’Europa patisce, è particolarmente grave in un momento di rapidi cambiamenti e di improvvisi salti in avanti dei partner/competitor. È un problema non risolvibile con le sole risorse interne delle istituzioni europee. Occorre che i Paesi membri e i grandi movimenti politici riprendano il progetto della Costituzione Europea per rispondere all’urgente necessità di difendere e far progredire la sovranità europea.

Note


[1]) Fonti: Finacial Times, Eurostat, Bureau of Census.

[2]) Mario Draghi, Prefazione a: Il futuro della competitività europea, settembre 2024.

[3]) Fonte: dati Pitch Book, Venture Pulse, Q1’21, Global analysis of Venture Funding, KPMG Private Enterprise.

[4]) David Luhnow. Tom Fairless, Andrew Barnett, How Europe Is Losing the Global Tech Race, in Five Charts. From software to AI, Europe is falling behind in creating global technology companies, stalling economic growth, The walla street Journal, June 1, 2025.

[5]) Chris Carr, Dave Christy, US Universities Are Losing Their STEM Doctoral Pipeline

5 Strategies to Win More Talent, March 27, 2025,

[6]) From startups to Unicorns. Unlocking Growth Through Ecosystems, Cheung Kong Graduate School of Business Whiet Paper. January 2025.

[7]) Jennifer Wong Leung, Stephan Robin, Danielle Cave, ASPI’s two-decade Critical Technology Tracker: The rewards of long-term research investment, ASPI, August 2024.

[8]) Carr et alii, op. cit.

[9]) OECD, PISA 2022.

[10]) Mc Kinsey, Breaking the standstill: How social mobility can boost Europe’s economy,

March 27, 2025.

[11]) Fonte: OCSE.



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link