Evviva la transizione, le aziende all’Ue: «Non vogliamo sconti»


Una lettera firmata da 39 aziende (di cui diverse italiane) prende posizione sulla discussione in corso all’Europarlamento sul pacchetto Omnibus, che nella sua bozza attuale allenterebbe gli obblighi di rendicontazione sulla sostenibilità e fermerebbe l’implementazione dei Climate Transition Plan

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Trentanove aziende europee hanno inviato una lettera all’Europarlamento per chiedere di non allentare gli obblighi climatici e di confermare gli impegni dell’Unione verso la transizione e il net zero.

Tra queste ce ne sono diverse italiane: Chiesi (farmaceutica), Florim (ceramica), Mutti (conserve alimentari), Kerakoll (pavimenti). L’oggetto della presa di posizione è la discussione in corso sul pacchetto Omnibus, che nella bozza attuale allenterebbe gli obblighi di rendicontazione sulla sostenibilità e fermerebbe l’implementazione dei Climate Transition Plan, che sono uno strumento fondamentale per allineare il settore economico agli obiettivi generali di azzeramento delle emissioni.

Al di là del tema specifico, l’esistenza di questo fronte di aziende è la prova che non tutta l’economia italiana è schierata con le posizioni del governo e di Confindustria contro il Green Deal. Ci sono aziende che hanno già investito in sostenibilità e transizione e che con questo e con i prossimi arretramenti temono di perdere competitività internazionale e sostengono, come scritto nella lettera, che con arretramenti di questo tipo c’è in gioco anche il principio della concorrenza leale.

Il testo 

La lettera nasce all’interno del programma CO2alizione, un’iniziativa coordinata da Nativa (che ha a sua volta firmato il documento) e Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, per guidare la transizione delle aziende verso la neutralità climatica attraverso la condivisione delle buone pratiche.

Il testo è un esercizio di chiarezza strategica, perché smonta una serie di narrazioni anti-Green Deal sulle regole europee per la transizione e il clima che hanno trovato molto spazio nel dibattito pubblico e politico italiano.

«I Piani di transizione climatica non sono solo un esercizio di compliance: ci permettono di anticipare e mitigare i rischi finanziari legati al clima, di adattare in modo efficace le nostre strategie aziendali e di evitare costi imprevisti. Grazie a essi, possiamo dialogare con trasparenza e credibilità con investitori e portatori di interesse, integrando una gestione dei rischi lungimirante e creando rapporti di lungo termine basati sulla fiducia. Per noi avere requisiti chiari e armonizzati non rappresenta un onere burocratico, bensì una leva reale per la crescita, la trasparenza e lʼaccesso ai finanziamenti».

Come già ribadito dalla Banca centrale europea, svuotare gli obblighi di trasparenza delle aziende sul clima non vuol dire liberarle dalla burocrazia, ma compromettere la fiducia dei consumatori e soprattutto dei mercati. La lettera ricorda che in ballo non c’è solo il tema morale e politico del greenwashing ma anche la corretta allocazione dei capitali.

La trasparenza sulla transizione aiuta gli investitori a capire su chi e dove puntare, mentre «in assenza di dati affidabili e comparabili sullʼeffettiva realizzazione delle strategie di decarbonizzazione, le imprese — soprattutto le Pmi — rischiano di essere percepite come soggetti a elevato rischio climatico e quindi di essere escluse dalle opportunità di finanziamento. Tutto ciò finirebbe per indebolire la posizione dellʼEuropa nella competizione globale per investimenti e leadership tecnologica».

Richiesta di aiuto 

Il tema sollevato dalle quasi quaranta aziende europee non è solo fare la cosa giusta per evitare un aumento delle temperature globali di +3°C entro la fine di questo secolo ma anche essere in grado di crescere e competere in un contesto in cui la transizione cambiando la forma di ogni settore.

I sostenitori della lettera, che rimane aperta e firmabile da tutte le aziende europee, chiedono di mantenere i piani di transizione climatica come parte delle regole Corporate Sustainability Reporting Directive (Csrd), un quadro chiaro e linee guida per rendere questi piani utili e comparabili tra loro, e infine politiche per l’aggiornamento delle competenze e la formazione del personale in grado di adempiere a questi obblighi. In sostanza, invece di sottrarsi agli obblighi legati alla transizione, chiedono di essere aiutate a fare la propria parte.

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