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L’Italia stenta a diventare un Paese innovativo. La spesa in Ricerca e Sviluppo (R&S) nel 2023 è cresciuta del 7,7% raggiungendo 29,4 miliardi di euro, ma il suo peso sull’economia nazionale non è migliorato, restando fermo all’1,37% del Pil. Lo rivela l’Istat, sottolineando come l’aumento in valore assoluto sia stato controbilanciato dalla crescita del Pil stesso.

Il Nord traina, il Sud arranca

A guidare gli investimenti sono soprattutto le imprese, vero motore dell’innovazione di prodotto e processo. Università ed enti pubblici svolgono un ruolo chiave, mentre è in crescita il contributo delle istituzioni non profit.

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La distribuzione geografica della spesa disegna un’Italia a due velocità. Il baricentro rimane saldamente al Nord, con la Lombardia in testa. Al Centro, il Lazio fa eccezione grazie alla sua forte vocazione pubblica e universitaria. Il Mezzogiorno, nonostante timidi segnali di ripresa in Puglia, Campania e Sicilia, continua a scontare un ritardo strutturale, evidenziando una frattura che fatica a ricomporsi.

Il gap europeo

Il ritardo italiano appare ancor più netto nel confronto con i partner dell’Unione Europea. La spesa in R&S nel nostro Paese, ferma all’1,37% del Pil, è ben al di sotto della media Ue del 2,3%. Un divario significativo se si considera che economie come Germania e Svezia superano la soglia del 3%, mentre Francia e Paesi Bassi viaggiano stabilmente oltre il 2%. Colmare questa distanza è una priorità assoluta per non restare tagliati fuori dalle transizioni tecnologica e digitale in corso.

Secondo le stime Istat, la crescita della spesa in R&S dovrebbe continuare anche nel biennio 2024-2025. La spinta è attesa dagli investimenti legati al PNRR e ai programmi europei per l’innovazione. La sfida, però, non è solo di quantità: il successo dipenderà dalla capacità del sistema-Paese di tradurre i fondi in progetti concreti ed efficaci, evitando il rischio di frammentazione e dispersione delle risorse.

Il dominio delle grandi aziende e delle multinazionali

La ripresa degli investimenti in R&S in Italia ha un volto ben preciso: quello delle grandi aziende. Nel 2023, infatti, la crescita del 7,7% della spesa non è stata uniforme, ma ha messo in luce un divario crescente tra le diverse dimensioni aziendali. Mentre le imprese con almeno 250 addetti hanno aumentato gli investimenti del 7,3%, le piccole (con meno di 50 addetti) hanno segnato un ulteriore calo del 2,3%. Le medie, da parte loro, mostrano una crescita modesta del 2,8%.

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Il peso delle grandi aziende sul totale della spesa imprenditoriale diventa così sempre più schiacciante, raggiungendo il 73,1% (pari a circa 12,5 miliardi di euro). A consolidare questo scenario è il ruolo predominante dei gruppi multinazionali, ai quali è attribuibile la cifra record dell’83,1% dell’intera spesa in R&S delle imprese italiane, per un totale di 14,3 miliardi di euro. In particolare, le multinazionali a controllo estero (44,6% della spesa) superano quelle a controllo italiano (38,5%).

I settori trainanti e le fonti di finanziamento

I settori che guidano la classifica degli investimenti in innovazione sono la produzione di autoveicoli, macchinari e altri mezzi di trasporto, che da soli coprono il 38,4% della spesa. A questi si affiancano elettronica, informatica e farmaceutica, con alcuni comparti che registrano incrementi superiori al 10%. L’autofinanziamento rimane la fonte principale per tutte le imprese, ma per le piccole realtà acquisiscono importanza i fondi pubblici e quelli esteri. Per le grandi aziende, invece, è cruciale il contributo dei soggetti stranieri, che copre il 12,0% del finanziamento.

I dati dipingono un quadro di forte polarizzazione: la capacità di innovazione rimane concentrata in poche grandi realtà, spesso integrate in catene del valore globali, mentre il tessuto delle PMI fatica a tenere il passo. Una dinamica che rischia di accentuare le disuguaglianze nel sistema produttivo italiano.





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